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Biofilm batterici sotto la lente di ingrandimento degli scienziati

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Il biofilm e’ una ‘comunità di microrganismi’ che vive e si riproduce su qualsiasi superficie in contatto con l’acqua e, in alcuni casi, può generare fenomeni dannosi per l’ambiente

Avete mai sentito parlare di biofilm? Non è qualcosa da guardare in tv ovviamente, anche se, in un certo senso, è ‘osservabile’ e presente dentro di noi e, in generale, in qualsiasi ambiente acquatico. In pratica si tratta di particolari comunità di microrganismi (tra cui batteri, protozoi e funghi) talmente ben strutturati da formare delle sottilissime pellicole trasparenti e gelatinose che aderiscono alle superfici “umide” in grado di ospitarle: da una carie dentaria, al fondale di un lago, di un fiume o di un mare e in tutte quelle zone dove siano presenti anche solo poche tracce di acqua. Nonostante le sue notevoli caratteristiche di adattamento, il biofilm non viene ritenuto pericoloso o dannoso per la salute dell’uomo o dell’ambiente nel caso lo “strato pellicolare” rimanga estremamente sottile e coinvolga le specie batteriche più comuni. Diversamente, se lo strato aumentasse di molto la sua “massa”, con il coinvolgimento di varie specie batteriche e fungine, il biofilm sarebbe in grado di generare dei fenomeni dannosi, soprattutto in ambito tecnologico e ambientale.

Quest’ultimo aspetto del biofilm in particolare coinvolge ad esempio il settore navale, che generalmente identifica il biofilm come un deposito indesiderato di origine biologica (solitamente ammassato sulla carena delle imbarcazioni) in grado di corrodere e danneggiare seriamente qualsiasi materiale metallico. Per evitare che questa pericolosa sedimentazione si attacchi alla “corazza delle navi”, vengono utilizzate abitualmente delle grandi quantità di sostanze chimiche tossiche (biocidi) che creano però un forte impatto sull’ambiente marino con il quale vengono a contatto. Tra le ricerche condotte per evitare proprio questo tipo di inquinamento, una delle più interessanti ha riguardato lo sviluppo del biosensore “Alvim” http://www.alvimcleantech.com/cms/, (ideato ad inizio 2012 da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Scienze Marine “Ismar” del CNR) in grado di fornire in tempo reale un accurato monitoraggio della presenza e lo sviluppo del biofilm nelle navi, permettendo in questo modo di ottimizzare i trattamenti di pulizia, evitando sprechi ed inutili immissioni tossiche nell’ambiente acquatico.

Alcuni studiosi del biofilm, della University of California di Berkeley e della Harvard University di Cambridge, hanno invece presentato i risultati di un nuovo metodo di osservazione ad altissima precisione (i dati sono stati pubblicati da qualche giorno sulla rivista “Science”) che chiariscono come nasce e si forma il biofilm. In particolare, attraverso un microscopio ottico a “super-risoluzione” (che permette un’analisi diretta ad altissima precisione dei campioni biologici in esame) sono state osservate le singole fasi di formazione del biofilm dalla sua “nascita” fino al suo “completamento”. Ciò permetterà di capire fino in fondo i “meccanismi evolutivi” di questa pellicola organica, consentendo di sviluppare “contromisure” più efficaci e meno impattanti per limitare la sua “pericolosità”.

(ml)

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